DI Silvia Robiglio - silviarobiglio@clicmedicina.it
Il greco Ippocrate interpretava l’ansia come segno di una malattia organica, mentre nel mondo romano la si vedeva già come un qualcosa di psichico e fisico insieme.
Negli antichi greci veniva chiamata melanconia e la si faceva derivare dalla bile nera, secondo la teoria pitagorica dei quattro umori. I rimedi per la melanconia erano vivere alla luce, non mangiare pesante, bagni, moto, ginnastica e, in seguito, anche musicoterapica. Non a caso, infatti, Apollo era dio della musica e della medicina, a seguito del “magico” legame tra le due arti.
Una svolta decisiva allo studio di questa sindrome, è dovuta al pensiero di Rufo di Efeso, della tradizione galenica, che vede nell’eccesso di immaginazione e di attività intellettuale le possibili cause per una degenerazione patologica. Con Claudio Galeno la bile nera non è più causa del male ma suo effetto.
Aristotele, il primo psicologo della storia, indagando nei Problemi sul rapporto tra vino e condizione dell’uomo deduce che ansia, malattie melanconiche, angoscia e depressione sono manifestazione della bile nera. L’effetto del vino è meno duraturo di quello della bile nera e, anzi, può portare anche all’allegria, quindi essere un rimedio all’ansia.
I romani invece utilizzavano l’oppio e la mandragola, piante molto in voga nella medicina. Aulo Aurelio Celso consigliava di usare come sonnifero dei semi di mandragola messi sotto il cuscino.
L’ansia nel Medioevo
L’età dell’ansia per eccellenza è stato senz’altro il Medioevo: le ansie erano legate all’effettivo rischio di malattia, soprattutto tubercolosi, lebbra, e peste; c’erano poi le invasioni barbariche, le guerre civili e le lotte contro gli infedeli. Intorno all’anno Mille poi sopraggiunse la paura della fine del mondo, il terrore per tutto ciò che è peccato, e le superstizioni. L’ansia è interpretata come malattia mentale e dello spirito, la religione allora può diventarne la cura: solo un’anima pura non temerà nulla. Ma anche i vecchi rimedi continuano ad essere utilizzati, integrati con le conoscenze arabe, come apposite pietre preziose con benefici influssi.
Avvicenna, autorità indiscussa in campo medico per secoli, associa lo stato d’ansia ad altre malattie, propone allora cure a base di salasso e, un metodo molto in voga a quei tempi, sedute di “altalena”, per rallegrare il malato.
Nei monasteri, inoltre, ci sono orti per coltivare apposite piante ed iniziano a formarsi raccolte di droghe.
Tralasciando il triste capitolo della storia in cui le malattie mentali venivano associate a possessioni demoniache, con tutto ciò che ne è seguito, passiamo al famoso Paracelso, che associava stelle e malattie mentali. Gli astri corrisponderebbero alle passioni umane, e Saturno sarebbe il pianeta che influenza l’umore malinconico. Per curare l’isteria usava la calamita, e diffuse l’uso del laudano e dell’etere come calmanti e sedativi.
Si diffuse sempre di più l’utilizzo della Triaca, un antico rimedio polifarmaco inizialmente utilizzato per combattere i veleni degli animali. Gli ingredienti che ne facevano parte divennero molto numerosi, e il suo uso si mantenne fino al ‘600/’700. In questo periodo si diffondono altri farmaci come l’Orvietano, la cui formula resta ancor oggi un mistero e che era un toccasana per gli umori malinconici se unito ad acqua di melissa o di buglossa.
Interessante il rimedio consigliato da Gian Battista Della Porta che consigliava, per i disturbi mentali, la noce in quanto il mallo è simile ai tegumenti del cranio, l’endocarpo alle meningi e il gheriglio ai due emisferi celebrali. Si iniziarono inoltre a diffondere docce fredde per “rinfrescare le idee” associate a bagni caldi perché si credeva avessero l’effetto di inumidire ed ammorbidire le fibre nervose disseccate.
Con l’Illuminismo si sviluppa la ricerca medico-biologica ma continuano ad imperversare decotti, salassi, oppio e pietre preziose.
E’ nel ‘700, col filosofo francese Denis Diderot che c’è per la prima volta distinzione tra ansia e malinconia. Il concetto di ansia verrà così associato a quello di angoscia, che rimarrà tradotto con la stessa parola in lingue come il tedesco (Angt) e l’inglese (Anxiety).
L’ansia dall’800 a Freud
Nell’800 disturbi nervosi come ansia ed isteria erano affidati alle cure termali in cui si facevano bagni caldi, vapori e, soprattutto ci si riposava dal lavoro. Nasce così la “cura del riposo” che prevedeva isolamento, riposo a letto, dieta a base di latte, elettroterapia e massaggi.
L’ansia viene studiata su tre filoni: psicologico, biologico ed economico-sociale.
Il filosofo Soren Kierkegaard teorizza il concetto di ansia-angoscia originaria che verrà ripreso da Freud il quale inizierà a parlare di vere e proprie manie.
Dalla metà alla fine del XIX secolo inizia a delinearsi una patologizzazione delle emozioni, fino a giungere, nel 1892, alla prima teoria generale della patologia emotiva del francese Féré. Lo psichiatra francese Valentin Magnan descriverà, alla fine dell’800, la meccanica dell’angoscia nelle ossessioni e impulsioni, cui seguiranno, nel 1897, le teorie del clinico e neurologo J.A.Pitres e il collega Régis che individueranno nell’angoscia il sintomo specifico delle ossessione distinguendo tra nevrosi paurose, fobie, e ossessioni vere e proprie.
Tra il 1881 e il 1884 il medico americano George Miller Beard sviluppa una teoria ripresa per molto tempo: nominava neurastenia un’affezione generalizzabile per tutte le malattie nervose. Secondo le sue descrizioni essa può determinare dispepsia, cefalea, paralisi, insonnia, anestesia, nevralgie, gotta, spermatorrea negli uomini e irregolarità mestruali nelle donne, le cause sarebbero riconducibili ad una perdita dei costituenti solidi del sistema nervoso centrale. Una simile teoria, molto vaga e facilmente collegabile ai diversi sintomi delle malattie nervose funzionali, ha trovato seguito per molti anni. La psichiatria utilizzava allora un vocabolario molto limitato e termini come nevrosi, isteria, depressione, ipocondria erano spesso interscambiabili.
Fino ad allora solo Freud aveva isolato una nevrosi specifica: la nevrosi d’angoscia distinguendo tra due frme di angoscia: la prima è un senso d’ansia e paura che nasce da una desiderio rimosso, curabile con un intervento psicoterapeutico, la seconda è un senso di panico accompagnato da manifestazioni di scariche neurovegetative, non dipendente da fattori psicologici, indicata come nevrosi attuale. Con la Prima Guerra Mondiale e lo studio delle nevrosi traumatiche di guerra da parte di Heckel, Freud sviluppa il fulcro della sua seconda teoria dell’angoscia: un campanello dall’allarme in vista di un pericolo immanente.
Seguiranno molte altre ricerche e verranno redatti manuali per la cura delle malattie rivolti ai medici ed ai pazienti. Gli studi sulle farmacoterapie porteranno alla somministrazione di barbiturici, fino ad arrivare alle benzodiazepine, attualmente sul mercato in più di mille tipi.
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