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sabato 14 novembre 2015

Fare la mamma senza entrare in panico

È facile farsi prendere dallo sconforto di fronte a pianti notturni, pile di pannolini, per non parlare delle ore distanti dal nostro piccolo quando è tempo di rientrare in ufficio. Ecco come gestire la maternità senza stress. Parola di due esperte (e mamme!)



domenica 8 novembre 2015

"Lavare i piatti riduce lo stress e aumenta l'ispirazione".


"Lavare i piatti riduce lo stress e aumenta l'ispirazione". Una ricerca spiega i benefici della pratica quotidiana (FOTO)

PIATTI

È un'annosa questione, una domanda che aleggia in ogni casa, al termine del pranzo o della cena: chi lava i piatti oggi? Se la voglia di lasciarli nel lavandino e di rimandare la pratica è tanta, una nuova ricerca offre un motivo in più per prendere sapone e spugna e mettersi all'opera. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista "Mindfulness", chi lava i piatti si sentirebbe meno stressato o nervoso e molto più concentrato sulle proprie azioni rispetto a chi non avrebbe questa (buona) abitudine.
Il segreto per trarre beneficio sarebbe uno solo: riuscire a svolgere questo compito non in maniera automatica, ma prenderlo come un momento per pensare, per dedicarsi all'ascolto del proprio io. I ricercatori della Florida State University hanno cercato di scoprire se una pratica tanto diffusa potesse essere, invece, utilizzata per migliorare il proprio benessere interiore. Per farlo hanno chiesto a 51 studenti di lavare 18 piatti ciascuno: a metà di questi hanno dato da leggere un brano sull'importanza dell'esperienza sensoriale che si apprestavano a fare, gli altri invece hanno letto un altro brano sulle tecniche giuste per pulire al meglio.
Alla fine dell'esperimento, i ricercatori hanno chiesto ai volontari di ricordare ciò che avevano vissuto e di rispondere ad alcune domande. Gli studenti che erano riusciti a lavare i piatti "meditando" sembravano essere riusciti a "ridurre il livello di stress e aumentare l'impatto di sensazioni positive, come l'ispirazione". Quest'ultima era cresciuta del 25% mentre i livelli di nervosismo e stress erano diminuiti del 27% rispetto agli altri componenti del gruppo che non avevano agito allo stesso modo.
Lo scopo della "meditazione mindfulness" è quello di concentrare la propria attenzione al momento presente, "intenzionalmente e senza giudicare", ovvero accettando quel che accade senza imbrigliarlo nelle classiche categorie con cui solitamente ci rapportiamo al nostro vissuto. I ricercatori hanno dimostrato che questo "approccio verso il mondo" si può allenare anche mentre si svolgono attività quotidiane: "La mindfulness ha effetti positivi e può essere coltivata quando ci cimentiamo consapevolmente in alcuni compiti di tutti i giorni". Lavare i piatti, dunque, potrebbe essere un modo per lavare anche la mente.

di Ilaria Betti da Huffington Post

lunedì 12 ottobre 2015

I benefici della pet therapy


Empatia e vicinanza trasformano l'interazione fra un essere umano e gli animali in un rapporto in grado di contribuire alla salute e migliorare il livello di benessere della persona


 - Sempre più ricerche hanno dimostrato l'efficacia terapeutica dell'impiego di cani, cavalli, criceti e persino asini o capre, un tempo ritenuti esclusivamente animali da lavoro: gli amici quattro zampe mostrano di aiutare i bambini a socializzare, oltre a innescare un processo di avvicinamento basato sulla fiducia e la capacità di lasciarsi andare, per questo vengono coinvolti con successo nel campo della riabilitazione motoria e nei casi di malattie altamente invalidanti.

I benefici della pet therapy

Nel 1981 negli Stati Uniti nasce la Delta Society, che per prima si occupa di indagare gli effetti terapeutici della compagnia degli animali: questi rappresentano i primi passi verso la scoperta e il riconoscimento della pet therapy, che oggi viene applicata con successo a problematiche quali autismo e depressione oltre a vedere molteplici applicazioni nel settore socio-assistenziale, dalle comunità di recupero alle case di riposo.

Se è Boris Levinson, psichiatra infantile, a pronunciarsi per primo, nel 1960, sui benefici del contatto con gli animali, attualmente l'effetto terapeutico della pet therapy è conclamato: gli animali abbassano i livelli di ansia e stress, possono ridurre problematiche legate all'umore, trasmettendo calore e affetto. Gatti e cani sono fra gli animali più utilizzati, insieme a cavalli, delfini e asini. L'onoterapia, praticata con asini, è considerata molto utile grazie alle dimensioni ridotte dell'animale e la tipica andatura lenta, capace di aiutare il paziente a non sentirsi isolato e, al tempo stesso, incentivare la facilità a abbandonarsi con maggior fiducia ai movimenti. L'operatore in questi casi ha il compito di facilitare la comunicazione fra uomo e animale: le mani diventano strumenti di conoscenza attraverso il tatto.

Nella pet therapy agisce una comunicazione non verbale in grado di instaurare un legame basato su vicinanza e empatia: le ultime ricerche mediche hanno definito gli animali acceleratori di relazioni umane. Le emozioni vengono espresse attraverso il tatto e la mimica: si realizza una comunicazione profondamente giocata su sincerità e autentica empatia, non mediata, né falsata. Le analisi condotte hanno dimostrato che durante una seduta si regolarizza il battito cardiaco, tendono ad abbassarsi pressione e glicemia, mentre i livelli di endorfine mostrano un miglioramento.

A chi è consigliata la pet therapy? I campi di applicazione sono numerosi: viene utilizzata con successo in presenza di stati d'ansia e depressione, problematiche dovute a periodi di degenza prolungata, post convalescenza in seguito a ictus e infarti, disturbi comportamentali e dell'apprendimento, riabilitazione motoria.

Chi è affetto da problemi di ansia, depressione e insonnia, insieme a pazienti colpiti da disturbi dell'apprendimento o dell'attenzione, problematiche a livello psicomotorio, sindrome di Down, autismo, demenze senili e malattie degenerative può trarre notevole giovamento da questa terapia di supporto, che al momento è presente in diversi centri di riabilitazione, scuole e laboratori. Grazie alla vicinanza con gli animali è possibile migliorare l'apprendimento, incoraggiare la capacità di fiducia e comunicazione. Inoltre, la pet therapy aiuta l'esercizio fisico, ha effetti benefici sulla soglia di resistenza al dolore, educa al rispetto verso il mondo e la natura, costituisce un aiuto per l'autostima.

sabato 3 ottobre 2015

Tra ferri e gomitoli antistress “a colpi” di dritto e rovescio

Dilaga anche a Modena la moda del fare la maglia Negozi, circoli, aperitivi. E tra i fans anche uomini
Sabato, giornata calda. All'imbrunire, ferri in mano - scorgo anche qualche uncinetto - se ne stanno sedute sulle panchine di fronte a San Francesco circondate da un arcobaleno di lana e cotone. Tutte signore. Alcune giovani, altre non più di primo pelo. Gli uomini latitano. «Per un certo periodo ai nostri incontri ha partecipato anche un uomo. E se cerchi su Facebook - mi suggerì Tiziana quando le strinsi la mano la prima volta - puoi trovare gruppi maschili votati alla maglia». Le ho creduto sulla parola e confesso di non aver approfondito. Magnifico strumento Facebook, non c'è che dire. Eppure, dopo anni, continuo a essere diffidente persino con il mio stesso profilo. Lei, Tiziana, sferruzza seria. Serena, pare in un mondo parallelo scevro di ansie e turbamenti. Ogni tanto scambia un sorriso con un'amica del Circolo di Penelope, consesso dei quindici (cifra che però ondeggia) «nato nel mio negozio in modo molto spontaneo» e diventato associazione culturale nel 2009.
Ecco a voi l'interpretazione nostrana e molto intima dello knitting bar di matrice anglosassone (da “to knit”, fare a maglia, annodare), trovata modaiola che da alcuni anni cavalca spavalda la cresta dell'onda. Lo dice Harvard: lavorare a maglia è terapeutico e rafforza il sistema immunitario. Chi “fa la calza” tiene lo stress al guinzaglio, frena i bollenti spiriti della pressione sanguigna, esorcizza demenza e Alzheimer.
Possiamo dunque sostenere che il knitting è la nuova, anzi antica e rivalutata, panacea per tutti i mali? Neppure l'autorevole università del Massachusetts osa sottoscrivere tale affermazione. Di sicuro darsi da fare con dritto e rovescio oggi è molto cool. Perlomeno in Inghilterra e Negli Stati Uniti. Pare infatti che le star habitué di tappeti rossi e lustrini siano ad un passo dall'ossessione maniacale.
«Nel nostro paese, se in sala d'aspetto ti metti a lavorare a maglia, susciti ancora un certo stupore. Ciò non toglie che negli ultimi anni siano in molti a cimentarsi con ferri e gomitoli. Non soltanto le nonne, ma anche ragazze giovani nonché bambine di dieci, dodici anni». Tiziana Soncini è anima e cuore di Dritto e Rovescio, tempietto della lana e del cotone al civico 144 di Piazzale San Francesco. Una bottega magica. Ha infatti il raro potere di illuminare persino i giorni neri come la pece. Sarà per i suoi cangianti inquilini, gomitoli tanto vivaci da sembrare vivi. O forse sarà per la presenza rassicurante della loro premurosa “mamma”. Di una gentilezza sobria ed essenziale, Tiziana è del tutto disinteressata all'effimera luce della ribalta. Che “to knit” sia un'attività molto “stilosa” la lascia indifferente. Lei ha sempre seguito il cuore e ha voluto condividere le proprie inclinazioni. Punto.
«Mia zia, in casa, aveva un piccolo maglificio. Insieme a mia madre mi ha trasmesso una passione che sin da piccola ho iniziato a coltivare con entusiasmo. È vero, accostare i colori è terapeutico, genera benessere. Al pari dello yoga, lavorare a maglia aiuta infatti a gestire meglio lo stress ed è anche un modo di stringere nuove amicizie. È proprio questo che mi lega alla maggior parte delle clienti che in Dritto e Rovescio identificano un luogo di incontro privilegiato: un rapporto di sincera amicizia».
Ma oltre alla bottega dei gomitoli magici quali sono gli anfratti cittadini deputati al knitting? «Il Circolo di Penelope in calendario ha sempre diverse attività che si adeguano alle stagioni. Quando infatti il clima lo consente spesso ci troviamo al parco Ferrari per un aperitivo in maglia. Oppure, qui in San Francesco, organizziamo cene al bar Massimo e Rossella. Inoltre, ogni quindici giorni, è Fusorari cibi e viaggi a ospitare il gruppo della lana e dei filati in piazzale


Sono tentata, lo ammetto. Ricordo che da bimba ero convinta di poter confezionare con i ferri sciarpe magnifiche da regalare a Natale alle mie petulanti e perfette cuginette. Peccato che il confronto con la loro abilità fosse impietoso. Che sia giunto il momento dei riscatto?

TRATTO DA: http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2015/06/28/news/tra-ferri-e-gomitoli-antistress-a-colpi-di-dritto-e-rovescio-1.11679581?refresh_ce

martedì 15 novembre 2011

Neuroni dalla pelle per curare le malattie nervose

Neuroni dalla pelle
per curare
le malattie nervose

Le cellule della pelle possono essere convertite direttamente in neuroni da utilizzare nello studio delle patologie del sistema nervoso o in terapie rigenerative basate sul trapianto di cellule. Lo annuncia Nature, pubblicando la ricerca coordinata da Marius Werning, esperto di cellule staminali dell'Università di Stanford (California).
Werning e colleghi hanno ricavato da campioni di pelle dei fibroblasti in cui hanno espresso contemporaneamente quattro geni codificanti per diversi fattori di trascrizione: in questo modo hanno ottenuto cellule nervose in grado di rispondere agli stimoli elettrici e formare sinapsi, cioè le connessioni che permettono ai neuroni di trasmettere l'impulso nervoso. Il processo, chiamato «transdifferenziazione», abbrevia i tempi sperimentali perché non richiede il passaggio intermedio di conversione delle cellule della pelle in cellule dalle proprietà staminali (“induced pluripotent stem cells”, iPSCs). Non solo, spiegano i ricercatori: una volta trapiantati in un organismo, i neuroni ottenuti sono risultati meno soggetti a dare origine a masse tumorali rispetto a quelli elaborati tramite conversione in cellule staminali.
Il limite principale della metodica è che i fibroblasti si moltiplicano più lentamente rispetto alle iPSCs che, quindi, risultano più semplici da usare quando c'è bisogno di un numero di cellule molto alto. Secondo Werning, “vale la pena portare avanti entrambi gli approcci, perché ancora non si sa per quali casi e per quali applicazioni specifiche un metodo sia preferibile rispetto all'altro”.
di Silvia Soligon (13/06/2011)

Storia dell'ansia

Storia dell'ansia
Silvia Robiglio - silviarobiglio@clicmedicina.it 

Nel corso della storia in molti hanno cercato di risalire, temporalmente parlando, ad un’esperienza originaria dell’ansia, sono stati psicologi, storici, filosofi ma anche teorici di storia della medicina e tutti concordano nel far iniziare la situazione psicologica di ansia/angoscia nell’uomo già ai tempi di Adamo ed Eva. Ansia di fronte ad una scelta da compiere col suo libero arbitrio, ansia come paura di essere sopraffatto dalla natura, più avanti paura degli dei, fobia per la fine del mondo fobia patologica che ha da sempre necessitato di specifiche cure terapeutiche.
Il greco Ippocrate interpretava l’ansia come segno di una malattia organica, mentre nel mondo romano la si vedeva già come un qualcosa di psichico e fisico insieme.
Negli antichi greci veniva chiamata melanconia e la si faceva derivare dalla bile nera, secondo la teoria pitagorica dei quattro umori. I rimedi per la melanconia erano vivere alla luce, non mangiare pesante, bagni, moto, ginnastica e, in seguito, anche musicoterapica. Non a caso, infatti, Apollo era dio della musica e della medicina, a seguito del “magico” legame tra le due arti.
Una svolta decisiva allo studio di questa sindrome, è dovuta al pensiero di Rufo di Efeso, della tradizione galenica, che vede nell’eccesso di immaginazione e di attività intellettuale le possibili cause per una degenerazione patologica. Con Claudio Galeno la bile nera non è più causa del male ma suo effetto.
Aristotele, il primo psicologo della storia, indagando nei Problemi sul rapporto tra vino e condizione dell’uomo deduce che ansia, malattie melanconiche, angoscia e depressione sono manifestazione della bile nera. L’effetto del vino è meno duraturo di quello della bile nera e, anzi, può portare anche all’allegria, quindi essere un rimedio all’ansia.
I romani invece utilizzavano l’oppio e la mandragola, piante molto in voga nella medicina. Aulo Aurelio Celso consigliava di usare come sonnifero dei semi di mandragola messi sotto il cuscino.
L’ansia nel Medioevo
L’età dell’ansia per eccellenza è stato senz’altro il Medioevo: le ansie erano legate all’effettivo rischio di malattia, soprattutto tubercolosi, lebbra, e peste; c’erano poi le invasioni barbariche, le guerre civili e le lotte contro gli infedeli. Intorno all’anno Mille poi sopraggiunse la paura della fine del mondo, il terrore per tutto ciò che è peccato, e le superstizioni. L’ansia è interpretata come malattia mentale e dello spirito, la religione allora può diventarne la cura: solo un’anima pura non temerà nulla. Ma anche i vecchi rimedi continuano ad essere utilizzati, integrati con le conoscenze arabe, come apposite pietre preziose con benefici influssi.
Avvicenna, autorità indiscussa in campo medico per secoli, associa lo stato d’ansia ad altre malattie, propone allora cure a base di salasso e, un metodo molto in voga a quei tempi, sedute di “altalena”, per rallegrare il malato.
Nei monasteri, inoltre, ci sono orti per coltivare apposite piante ed iniziano a formarsi raccolte di droghe.
Tralasciando il triste capitolo della storia in cui le malattie mentali venivano associate a possessioni demoniache, con tutto ciò che ne è seguito, passiamo al famoso Paracelso, che associava stelle e malattie mentali. Gli astri corrisponderebbero alle passioni umane, e Saturno sarebbe il pianeta che influenza l’umore malinconico. Per curare l’isteria usava la calamita, e diffuse l’uso del laudano e dell’etere come calmanti e sedativi.
Si diffuse sempre di più l’utilizzo della Triaca, un antico rimedio polifarmaco inizialmente utilizzato per combattere i veleni degli animali. Gli ingredienti che ne facevano parte divennero molto numerosi, e il suo uso si mantenne fino al ‘600/’700. In questo periodo si diffondono altri farmaci come l’Orvietano, la cui formula resta ancor oggi un mistero e che era un toccasana per gli umori malinconici se unito ad acqua di melissa o di buglossa.
Interessante il rimedio consigliato da Gian Battista Della Porta che consigliava, per i disturbi mentali, la noce in quanto il mallo è simile ai tegumenti del cranio, l’endocarpo alle meningi e il gheriglio ai due emisferi celebrali. Si iniziarono inoltre a diffondere docce fredde per “rinfrescare le idee” associate a bagni caldi perché si credeva avessero l’effetto di inumidire ed ammorbidire le fibre nervose disseccate.
Con l’Illuminismo si sviluppa la ricerca medico-biologica ma continuano ad imperversare decotti, salassi, oppio e pietre preziose.
E’ nel ‘700, col filosofo francese Denis Diderot che c’è per la prima volta distinzione tra ansia e malinconia. Il concetto di ansia verrà così associato a quello di angoscia, che rimarrà tradotto con la stessa parola in lingue come il tedesco (Angt) e l’inglese (Anxiety).
L’ansia dall’800 a Freud
Nell’800 disturbi nervosi come ansia ed isteria erano affidati alle cure termali in cui si facevano bagni caldi, vapori e, soprattutto ci si riposava dal lavoro. Nasce così la “cura del riposo” che prevedeva isolamento, riposo a letto, dieta a base di latte, elettroterapia e massaggi.
L’ansia viene studiata su tre filoni: psicologico, biologico ed economico-sociale.
Il filosofo Soren Kierkegaard teorizza il concetto di ansia-angoscia originaria che verrà ripreso da Freud il quale inizierà a parlare di vere e proprie manie.
Dalla metà alla fine del XIX secolo inizia a delinearsi una patologizzazione delle emozioni, fino a giungere, nel 1892, alla prima teoria generale della patologia emotiva del francese Féré. Lo psichiatra francese Valentin Magnan descriverà, alla fine dell’800, la meccanica dell’angoscia nelle ossessioni e impulsioni, cui seguiranno, nel 1897, le teorie del clinico e neurologo J.A.Pitres e il collega Régis che individueranno nell’angoscia il sintomo specifico delle ossessione distinguendo tra nevrosi paurose, fobie, e ossessioni vere e proprie.
Tra il 1881 e il 1884 il medico americano George Miller Beard sviluppa una teoria ripresa per molto tempo: nominava neurastenia un’affezione generalizzabile per tutte le malattie nervose. Secondo le sue descrizioni essa può determinare dispepsia, cefalea, paralisi, insonnia, anestesia, nevralgie, gotta, spermatorrea negli uomini e irregolarità mestruali nelle donne, le cause sarebbero riconducibili ad una perdita dei costituenti solidi del sistema nervoso centrale. Una simile teoria, molto vaga e facilmente collegabile ai diversi sintomi delle malattie nervose funzionali, ha trovato seguito per molti anni. La psichiatria utilizzava allora un vocabolario molto limitato e termini come nevrosi, isteria, depressione, ipocondria erano spesso interscambiabili.
Fino ad allora solo Freud aveva isolato una nevrosi specifica: la nevrosi d’angoscia distinguendo tra due frme di angoscia: la prima è un senso d’ansia e paura che nasce da una desiderio rimosso, curabile con un intervento psicoterapeutico, la seconda è un senso di panico accompagnato da manifestazioni di scariche neurovegetative, non dipendente da fattori psicologici, indicata come nevrosi attuale. Con la Prima Guerra Mondiale e lo studio delle nevrosi traumatiche di guerra da parte di Heckel, Freud sviluppa il fulcro della sua seconda teoria dell’angoscia: un campanello dall’allarme in vista di un pericolo immanente.
Seguiranno molte altre ricerche e verranno redatti manuali per la cura delle malattie rivolti ai medici ed ai pazienti. Gli studi sulle farmacoterapie porteranno alla somministrazione di barbiturici, fino ad arrivare alle benzodiazepine, attualmente sul mercato in più di mille tipi.

giovedì 28 aprile 2011

Malattie da stress

Cos’è lo stress e che rapporto ha con la salute?

Tutti, quando siamo sottoposti a tensioni emotive (malattie importanti, nostre o di congiunti), a esperienze frustranti (superlavoro, mobbing, disoccupazione) o dolorose (lutti, separazioni) ci ammaliamo più frequentemente e più difficilmente guariamo dai malanni. Non è un caso, si tratta di stress. È, cioè, quello stato di tensione che si instaura nel nostro organismo quando è sottoposto a stimoli emotivi o fisici negativi.

La risposta allo stress - dicono gli esperti - si divide in tre fasi. Nella prima, chiamata “di allarme”, il corpo individua la ragione del disagio e si prepara a combatterla oppure a evitarla: le ghiandole endocrine secernono ormoni che aumentano il battito cardiaco, il ritmo della respirazione, la glicemia e la traspirazione. Le pupille si dilatano e la digestione rallenta. Negli animali questo è il momento del pericolo, della fuga o dell’attacco. Una volta cessato l’allarme l’organismo entra nella fase “di resistenza”, ossia prova a riparare gli eventuali danni provocati dallo stress durante la fase precedente. Se però il periodo di resistenza persiste si passa alla terza fase o “dell’esaurimento”: le riserve di energia si esauriscono, l’individuo è fisicamente ed emotivamente spossato. Ebbene, questa è la fase nella quale nella nostra specie può instaurarsi una malattia, una malattia da stress appunto.

Cosa sono le malattie da stress?

Si tratta di patologie, in genere di natura multifattoriale, provocate o aggravate da una situazione stressante persistente, che non si risolve. In termini fisiologici, da un’alterazione protratta nel tempo del sistema neurovegetativo ed endocrino. Sono oggi sufficientemente definiti i rapporti tra stress cronico e patologie cardiovascolari, ma anche gastrointestinali e dermatologiche. Meno chiari, paradossalmente, sembrano essere i rapporti tra stress e malattie psichiatriche (per esempio la depressione) e neurologiche (come le demenze).

Secondo alcune teorie, tutte da confermare, una forte e continua tensione emotiva non solo sarebbe in grado di scatenare, provocare o aggravare determinate malattie ma anche di modificarne il decorso, la durata, l’efficacia delle cure: insomma se molto provati psicologicamente si guarirebbe con maggiore difficoltà tanto dal raffreddore quanto dai tumori.

Quali sono le malattie gastrointestinali legate allo stress?

Il sistema digerente è molto influenzabile dallo stress cronico, che infatti è riconosciuto come fattore aggravante, a volte addirittura determinante, di ulcere e infiammazioni intestinali. Le ulcere gastroduodenali sono provocate da un’eccessiva produzione di succhi gastrici, da ipersensibilità della mucosa dello stomaco, o, come oggi si ritiene accada nella maggioranza dei casi, dalla presenza nello stomaco del batterio Helicobacter pylori. Le ulcere causano nausea, acidità e dolore, a volte così intenso da impedire le normali attività quotidiane. Il meteorismo e l’aerofagia, la cui causa principale risiede in genere nelle abitudini alimentari errate o nella predisposizione di chi ne soffre, possono essere comunque influenzati dallo stato emotivo.

C’è poi la sindrome dell’intestino irritabile, ossia una forma di colite che non comporta lesioni del colon ma solo disturbi della sua fisiologia. È tipicamente caratterizzata dall’alternanza di periodi di stipsi e di diarrea accompagnati da crampi (dolori) all’addome. Non conosciamo in realtà l’origine di questo disturbo ma sappiamo che si manifesta con maggiore frequenza negli individui soggetti a stress, negli emotivi, negli ansiosi. Sembra quindi che abbia una natura prevalentemente psicosomatica.

Quali sono le malattie della pelle stress-correlate?

Lo stress cronico può contribuire ad aggravare o a scatenare diverse malattie della pelle. Una di queste è l’eczema, un’infiammazione che accompagna il 30-50 per cento della totalità delle manifestazioni cutanee, per esempio la dermatite allergica e quella seborroica. Rientrano nella definizione di eczema diverse lesioni: macule, papule, vescicole, pustole, squame. La psoriasi (chiazze eritematose, rosse, ricoperte da squame secche e biancastre) e la vitiligine ( zone tondeggianti depigmentate nelle quali la melanina è del tutto assente o presente in quantità ridotta), nonostante siano manifestazioni cutanee differenti, hanno in comune alcune caratteristiche fondamentali. Hanno entrambe una forte componente genetica o autoimmune (non a caso, infatti, si presentano in alcune famiglie e mai in altre) ma perché si manifestino devono in genere sommarsi anche condizioni di origine non genetica. Sebbene certezze non ce ne siano, molti esperti concordano nel dire che un trauma o uno stress psicologico possano agire da fattore scatenante.

L’ansia può provocare una crisi di asma?

Molti disturbi respiratori possono essere provocati da ansia e da stress: apnee notturne e iperventilazioni, per esempio, possono - secondo alcuni - essere scatenati da forti stati di ansia. Il respiro rapido (iperventilazione), quando non dipende da malattie cardiopolmonari, può essere la manifestazione di stati ansiosi profondi: l’iperpnea degli attacchi di panico è un esempio tipico di quanto stiamo affermando. Sono noti da tempo, e abbondantemente documentati, i rapporti tra asma e infiammazioni bronchiali, allergie, infezioni, inquinanti atmosferici e presenza in famiglia di altri soggetti asmatici. Tuttavia una crisi asmatica, naturalmente negli individui che soffrono di questa malattia, può essere scatenata anche da uno stato di forte disagio emotivo.

Qual è il legame tra stress e malattie cardiovascolari?

Il rapporto tra stress e malattie cardiovascolari è noto da tempo. In particolare lo stress cronico sarebbe correlato all’ipertensione. Meglio: lo stress, insieme a obesità, fumo, sedentarietà, alterata assunzione di sodio, abuso di alcool, età, sesso, gruppo etnico, familiarità, è uno dei fattori di rischio dell’ipertensione. A sua volta la pressione elevata, costringendo il muscolo cardiaco ad un continuo stato di tensione, può provocare scompenso, ischemia, angina, e perfino infarto. Anche le pareti delle arterie, continuamente ‘ stirate’ dall’ipertensione, possono subire danni: piccole lesioni dello strato cellulare interno, che aprono la porta all’arteriosclerosi, e rottura.

È vero che lo stress può bloccare il ciclo mestruale?

Un forte stress mentale o fisico, un grande trauma psicologico, può causare amenorrea, ossia assenza del flusso mestruale, un disturbo che colpisce circa 30.000/50.000 donne ogni anno. Oltre alle donne esposte allo stress mentale magari perché impegnate in professioni che lo richiedono , sono tipiche vittime dell’amenorrea le sportive e le donne sottopeso. Quando associato a calo ponderale o all’eccessivo esercizio fisico si pensa che l’amenorrea derivi da una carenza di energia e di nutrienti : questa situazione infatti dà luogo a segnali che inducono il cervello a interrompere la secrezione ciclica dell’ormone che stimola il rilascio di gonadotropina, di ormone luteinizzante e, quindi, a bloccare il ciclo mestruale. Anche la variante psicogena dell’amenorrea viene messa in relazione a un deficit energetico e di macronutrienti.

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